Coffee and Cigarettes

(Coffee and Cigarettes)

Regia di Jim Jarmusch

con Roberto Benigni, Steven Wright (episodio Strano conoscersi), Joie Lee, Cinqué Lee, Steve Buscemi (episodio Gemelli), Iggy Pop, Tom Waits (episodio Da qualche parte in California), Joe Rigano, Vinny Vella, Vinny Vella Jr. (episodio Queste ti uccideranno), Renée French, E. J. Rodriguez (episodio Renée), Alex Descas, Isaach De Bankolé (episodio Nessun problema), Cate Blanchett, Mike Hogan (episodio Cugine), Jack White, Meg White (episodio Jack mostra a Meg la sua bobina di Tesla), Alfred Molina, Steve Coogan (episodio Cugini?), GZA, RZA, Bill Murray (episodio Delirio), Bill Rice, Taylor Mead (episodio Champagne).

PAESE: USA 2003
GENERE: Commedia
DURATA: 95’

Undici episodi (durata: 9′ in media) in cui due o tre personaggi parlano del più e del meno davanti a caffè e sigarette.

Nono film del cineasta indipendente Jarmusch, che ripesca tre corti girati rispettivamente nel 1986 (Strano conoscersi), nel 1989 (Gemelli) e nel 1992 (Da qualche parte in California, Palma d’oro a Cannes ’93) e li integra con altri girati nel 2003 appositamente per il film. Parte come una commedia nonsense (l’episodio con Benigni), diventa una riflessione sulla solitudine come specchio dei tempi (di cui sonda alcuni temi forti come la popolarità, la nevrosi, il fatuo dell’esistenza) e finisce con uno struggente e crepuscolare omaggio alla New York underground degli anni ’60. I primi episodi sono i meno riusciti, troppo bozzettistici, inclini all’aneddoto e alla barzelletta; quelli centrali riprendono quota, anche grazie a interpretazioni di rilievo; gli ultimi sono i migliori. Racchiudono il senso del film e sottolineano che la struttura frammentaria cela in realtà un discorso più ampio sullo scorrere del tempo e sull’incapacità umana di ascoltare. Fa ridere, ma è amaramente impregnato di morte: pian piano le risate si fanno sempre più malinconiche.

Gli episodi migliori sono quello con Molina e quello con Murray, ma è l’ultimo (con Rice e Mead) a sfiorare la poesia: due artisti invecchiati, appartenuti ad un underground newyorkese ormai estinto, contemplano la fine di tutto brindando con champagne che in realtà è caffè. Gli attori – che arrivano praticamente tutti, anche se in maniera diversa, dal cinema indipendente americano – interpretano sé stessi, eccezion fatta per Buscemi che fa un cameriere di nome Randy. Girato tutto in interni e, di conseguenza, costato pochissimo, si avvale di appena due effetti speciali (lo sdoppiamento della Blanchett e le scariche elettriche della bobina di Jack White) e di ben quattro direttori della fotografia (Tom DiCillo, Robby Müller, Ellen Kuras, Frederick Elmes), che sfruttano in maniera diversa ed estremamente personale le potenzialità espressive del bianco e nero. Jarmusch dirige con estro sobrio ma originale, scegliendo coraggiosamente di girare un film antinarrativo basato esclusivamente su tempi morti. Forse l’inizio è un po’ noioso, ma ci mette poco a decollare. Anomalo, spassoso, da vedere.

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