Le Mépris – Il disprezzo

(Le Mépris)

Regia di Jean-Luc Godard

con Brigitte Bardot (Camille Javal), Michel Piccoli (Paul Javal), Jack Palance (Jeremy Prokosch), Giorgia Moll (Francesca Vanini), Fritz Lang (se stesso), Raoul Coutard (cameraman, non accreditato), Jean-Luc Godard (aiuto regista, non accreditato), Linda Veras (sirena, non accreditata).

PAESE: Francia, Italia 1963
GENERE: Drammatico
DURATA: 105′ (87′)

Sceneggiatore francese viene convocato a Cinecittà per scrivere un film sull’Odissea, diretto da Fritz Lang (nel ruolo di se stesso) e prodotto da una major hollywoodiana. Senza pensarci due volte, lascia che la bellissima moglie Camille sia oggetto delle avances di un produttore americano, suscitando il di lei disprezzo. Quando di accorgerà della sua stupida superficialità, sarà troppo tardi.

Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, scritto dal regista che non l’ha stravolto ma riletto, è un film imbevuto di cinema che mette in scena il rapporto tra classico (incarnato da Lang) e moderno (l’ingerenza antiartistica degli studios). Lo fa in modo un po’ troppo schematico nella sua militanza, privo di sfumature intermedie, ma decisamente affascinante: il passato non torna, e si può solo andare avanti, anche se il futuro non si prospetta roseo. Ma è anche un film sull’amore, visto come la sopraffazione dell’uno sull’altra (o viceversa): convinto di vivere in un suo film, lo sceneggiatore Paul non si accorge del peso delle sue azioni, e finisce male. Godard mette in scena seguendo i precetti della novelle vague, cancellando da un lato l’illusione di realtà (colori esasperati ma bellissimi, che in ogni inquadratura propongono lo spettro “rosso-giallo-blu”, colori primari da cui nasce tutto il resto – tutta l’arte; inserti, scarti, compressioni, dilatazioni) ma dall’altro accentuandola indugiando sui tempi morti e le divagazioni (famosissima la scena, tutta in piano sequenza, del litigio in appartamento tra i coniugi Javal). Grandi musiche di Georges Delerue, capaci di trasformare una scena come la camminata di Lang davanti ad un vecchio cinema in una delle scene più commoventi, malinconiche e poetiche della Storia del cinematografo. Splendida la Bardot, fulcro erotico della pellicola.

Tutto questo, incredibilmente, sparisce nella versione italiana curata da Carlo Ponti: i colori vengono smorzati per essere più “realistici”, molte scene divaganti vengono tagliate o maciullate al montaggio (dura quasi 20′ meno), aumentano i nudi della Bardot, il finale viene cambiato e la musica di Delerue lascia il posto ad un jazz frenetico di Piero Piccioni che uccide ogni elemento tragico e da al film un effetto scanzonato. Godard non riconobbe la paternità della versione italiana, e non è difficile dargli ragione: un ottimo film se visto in lingua originale, un obbrobrio se visto nella versione italiana. Quest’ultima sprofonda spesso nel ridicolo più imbarazzante. Si pensi al personaggio della Moll, traduttrice italiana che parla inglese, tedesco e francese: nell’originale è il ponte di collegamento tra i dialoghi di Palance, Piccoli e Lang (ognuno recita nella sua lingua), mentre nella versione italiana, in cui TUTTI parlano italiano, si limita a ripetere le frasi degli altri. Nessun senso logico. L’invettiva di Godard contro lo strapotere delle case produttrici potrà anche sembrare demagogica, ma è un dato di fatto che col suo film sia andata proprio come sosteneva lui: i soldi hanno ammazzato l’arte. Un film da vedere, ma solo nella versione internazionale.

Versione originale

Versione italiana

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