La ragazza del lago

Regia di Andrea Molaioli

con Toni Servillo (Commissario Giovanni Sanzio), Valeria Golino (Chiara Canali), Fabrizio Gifuni (Corrado Canali), Anna Bonaiuto (moglie di Sanzio), Omero Antonutti (padre di Mario), Marco Baliani (Davide Nadal), Denis Fasolo (Roberto), Sara D’Amario (Dottoressa Giani), Franco Ravera (Mario), Giulia Michelini (Francesca), Nello Mascia (Alfredo), Fausto Maria Sciarappa (ispettore Siboldi), Heidi Caldart (Silvia Nadal), Alessia Piovan (Anna Nadal), Nicole Perrone (Marta).

PAESE: Italia 2007
GENERE: Giallo
DURATA: 95′

Sulle sponde del lago di Fusine, Friuli, viene rinvenuto il cadavere di una ragazza. Ad indagare arriva dalla città il commissario meridionale Sanzio, che scopre quanti segreti possa avere un qualsiasi paesino di provincia.

Scritto da Sandro Petraglia (che ha adattato il romanzo norvegese Lo sguardo di uno sconosciuto di Karin Fossum) e diretto dall’esordiente Molaioli, è un giallo con contorni drammatici ambientato nei meandri della provincia italiana. Attraverso gli occhi di una sorta di Marlowe italico – che fa sterzare il film verso il noir – regista e sceneggiatore indagano sulla banalità del male e sul grande dolore che ogni uomo si porta appresso. È un film sulla follia come rifugio sempre più frequente per vivere serenamente: gli unici personaggi che sembrano tralasciare un retroterra di dolore sono i matti, i diversi, gli “anormali”, ma non perché non provano dolore, quanto perché non ne ammettono più l’esistenza. Il punto di vista degli autori è lo stesso di Sanzio: non giudicano, non commentano, si limitano a guardare e a suggerire. Raro caso di un film giallo- poliziesco in cui non appaiono né una pistola né una goccia di sangue, è un piccolo capolavoro che parla d’amore, amicizia, dignità. Lo fa affidandosi a un gruppo di interpreti strepitosi, ma anche ad una regia mai banale che raramente si affida ai dialoghi e preferisce delineare le caratteristiche dei personaggi in poche, emblematiche inquadrature.

È un film “quieto”, nel senso che non cede mai allo spettacolo e aspira ad essere “contemplativo”, simbolico, qua e là lirico. Molti gli criticano il finale senza suspense, ma così facendo guardano il dito invece che la Luna: ciò che conta è l’indagine, non il colpevole. Strepitosa la fotografia di Ramiro Civita, ma azzeccate sono anche le musiche di Teho Teardo. Aggiungere parole sulla bravura di Servillo appare ormai superfluo, ma i comprimari non gli sono da meno. All’insegna di un realismo quasi antropologico (capace però di avventurarsi nell’onirico, come dimostrano le visioni di Sanzio), esce il ritratto di un’Italia ferita, senza punti di riferimento, in cui pochi uomini che stanno dalla parte giusta tentano di fare – bene – il proprio mestiere. A modo suo, è un piccolo grande film che sottolinea quanto il cinema italiano – anche quello di genere – non sia affatto disperso. Bisognerebbe solo convincere la gente a disertare i cinepanettoni per andare a vederlo. Pessimista ma non nichilista, ottimo (quanto raro) esempio di noir made in Italy. 10 David di Donatello (forse un po’ esagerati) e 3 Nastri d’argento.

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