Motel Woodstock

(Taking Woodstock)

Regia di Ang Lee

con Demetri Martin (Elliot Teichberg), Imelda Staunton (Sonia Teichberg), Henry Goodman (Jake Teichberg), Emile Hirsch (Billy Hawking), Liev Schreiber (Vilma), Jonathan Groff (Michael Lang), Jeffrey Dean Morgan (Dan), Dan Fogler (Devon), Eugene Levy (Max Yasgur), Kelli Garner (Acid Girl), Paul Dano (Acid Guy), Kevin Sussman (Stan), Mamie Gummer (Tisha).

PAESE: USA 2009
GENERE: Commedia
DURATA: 110′

Di stanza a New York, ma tornato per l’estate alla natia Catskills per impedire che i genitori chiudano l’amato motel, il giovane pittore Elliot coglie la palla al balzo – in un paese vicino mancano i permessi – e organizza nel prato di un vicino il più grande raduno di massa della storia. Attraverso la musica e le droghe si ribella alle convenzioni della provincia, scopre la sua vera identità sessuale e trova il coraggio di farsi una vita rendendosi indipendente dai genitori. E intanto, senza quasi rendersene conto e senza mai riuscire a vedere un’esibizione, diviene il promotore del mitico concerto di Woodstock (1969).

Tratta dall’autobiografia del vero Elliot Teichberg – naturalizzato Tiber – è la storia di come un giovincello introverso e una manciata di suoi concittadini riuscirono ad allestire il festival musicale più affollato e famoso della storia. È un film sulla libertà girato come un diario di formazione: Elliot scopre la controcultura e si sbarazza del perbenismo, della timidezza, della paura, scoprendo sé stesso e puntando finalmente a “vivere” a tutti gli effetti. Ang Lee, regista “poeta” di psicologie, è bravo a girare intorno all’evento senza mai mostrarlo, sottolineando che il passaggio tra infanzia ed adolescenza, tra vivacchio e vita (qui simboleggiato proprio dal concerto) non è mai identificabile o comunque è difficile accorgersene. Dalla sua ha una bella sceneggiatura di James Schamus che asseconda gli ottimi tempi comici degli attori, abile sia sul lato del riso che su quello del dramma. Lascia però l’idea di un film solo parzialmente riuscito: alcuni personaggi sono troppo stereotipati e comunque già visti altrove e meglio (il Lang di Jonathan Groff è veramente antipatico), mentre troppo spesso la storia diventa un po’ noiosa – specie nella prima parte – e si perde nella ridondanza. Non è uno dei migliori Lee, ma gli diamo atto di aver saputo illustrare un evento su cui è già stato scritto e detto tutto attraverso un inedito ed originale punto di vista “dal basso”. Molte comunque le sequenze che non si scordano: il “viaggio” di Elliot dopo aver preso l’acido, dai colori e dalle forme bellissimi; i duetti del protagonista col reduce Billy e il transessuale Vilma (uno dei personaggi più azzeccati); la riunione della camera di commercio di Catskill, davvero esilarante; il dialogo finale tra Elliot e il padre (un grandissimo Henry Goodman); il passo finale in cui il giovane organizzatore riesce ad arrivare al prato del concerto, ormai finito, e trova solo immondizia e desolazione, simbolo delle speranze degli hippy destinate al disfacimento. Non va preso per ciò che non è – un capolavoro – ma fa ridere, è piacevole, frivolo ma intelligente. Belle musiche – anche se non se ne sente alcuna di quelle di Woodstock – e regia che imita quella del celebre documentario (1970) di Michael Wadleigh, piena di Split screen (inquadratura divisa in due diversi punti di vista) utilizzati con originalità. Menzione speciale a Imelda Staunton, nel ruolo di una madre ossessiva che rappresenta alla perfezione il peccato capitale dell’avarizia (e che fa tornare in mente Greed, 1924, di Erich von Stroheim).

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